venerdì 27 febbraio 2009

Aspettando la prima rondine


Io, originariamente, volevo scrivere un post sulla primavera che sta per arrivare, sul fatto che finalmente, in questi giorni, le temperature si sono leggermente rialzate, perlomeno quando il sole non va giù. Su quei timidi raggi di calore che cercano di preannunciare l'arrivo della primavera che hanno tutto il mio supporto perché, non so voi, ma io dell'inverno non ne posso più! Basta pomeriggi che finiscono prima di iniziare, basta stare attaccati al termosifone in cerca di un po' di tepore, basta cielo coperto, freddo e collant sotto i pantaloni! Che poi è sempre la stessa storia. Ogni volta smanio per l'arrivo dell'autunno: le prime sciarpe, i colori delle foglie, quelle piogge leggere che non danno noia. Almeno è così all'inizio. Poi anche l'inverno mi viene sistematicamente a noia, le sciarpe cominciano a soffocare, i colori smorti non danno più gusto, dell'ombrello si farebbe volentieri a meno e anche dell'umidità che cotona i capelli e non vedo l'ora che arrivi la bella stagione. Probabilmente io sono una adatta alle mezze stagioni, non sopporto gli estremismi in nessun campo. Eppoi io amo la primavera. Dopo aver visto i colori delle nuove collezioni p/e 2009, ne sono fermamente convinta. E invece? Stamattina, ancora assonnata, mi alzo, tiro su l'avvolgibile. C'è qualcosa che non va. Invece di essere un raggio di sole a darmi il buongiorno, è una patina grigia ed umidiccia che ricopre tutto a farlo. Addirittura piove. Ritiro quello che ho detto, per la primavera bisognerà un po' pazientare. Intanto, consoliamoci con queste orecchiette verdi verdi fatte in casa.


Orecchiette fatte in casa alle cime di rapa


Ingredienti

per le orecchiette (per 2 persone):

300 g farina di semola di grano duro
acqua tiepida q.b.
sale

per il condimento:

2 mazzetti di cime di rapa
bicarbonato di sodio

1 filetto di acciuga
peperoncino
1 spicchio d'aglio
olio e.v.o.

Procedimento

per le orecchiette: Porre la farina a fontana sulla spianatoia, spolverarla di sale e aggiungere l'acqua tiepida (la quantità dipende dalla potenza di assorbimento della farina). Impastare per almeno 10 minuti. Quindi, prelevare un pezzo di pasta e farne un bastoncino sottile come una matita. Tagliarlo a pezzettini grossi più o meno come l'unghia del mignolo, facendo in modo che siano più o meno della stessa dimensione. Prendere un pezzettino, farne una pallina, e schiacciarla col pollice o con un coltello dalla lama larga, "strascicandola": in questo modo otterrete la tipica forma delle orecchiette ("strascinate", appunto). Mettere le orecchiette in un vassoio cosparso di farina di semola, possibilmente con la gobbetta rivolta verso l'alto, e aspettare minimo un'ora prima di cuocerle.


per il condimento: Preparare innanzitutto le cime di rapa, lavandole ed eliminando i gambi, tenendo invece da parte le foglie. Mettere a bollire un litro e mezzo d'acqua: quando avrà raggiunto l'ebollizione, farvi sciogliere un cucchiaino raso di bicarbonato di sodio, quindi gettarvi le cime di rapa e lessarle per 20 minuti circa. Trascorso questo tempo, scolarle ed assorbirne l'acqua in eccesso. Con questo procedimento, le cime di rapa diventano morbide e non ingialliscono: potete inoltre tenerle da parte in frigorifero ed utilizzarle (ovviamente a breve scadenza) per paste e contorni.

Versare un po' d'olio (4 cucchiai circa) in una padella, mettervi lo spicchio d'aglio aperto e lasciare soffriggere. Non appena l'aglio si sarà imbiondito, toglierlo ed unire il peperoncino e le cime di rapa precedentemente preparate. Lasciar cuocere per pochi minuti, e solo alla fine aggiungere l'acciuga tritata finemente, fino a farla sciogliere.

Gettare le orecchiette nell'acqua bollita, facendole lessare per 4 minuti. Scolarle ed unirle al condimento insieme a poca acqua di cottura. Saltarle per un attimo in padella facendo sì che si amalgamino bene al condimento.

À la recherche du temp perdu - Madeleines


"Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena."

Ed è proprio così che riaffiora alla memoria di Marcel Proust un episodio della sua fanciullezza: quando, prima di andare a messa la domenica mattina, si recava a Combray presso la zia Leonia, che gli offriva il dolcetto in questione accompagnato da una tazza di infuso di tè o di tiglio. Trattasi di memoire involontaire, memoria involontaria: una sensazione visiva o olfattiva, come un profumo o un sapore, evoca in noi un ricordo legato a quella percezione. Grazie al ricordo che riaffiora, ci si sente liberi dai vincoli del tempo, non più imprigionati nel presente, ma capaci di riaffacciarsi sul tempo perduto, appunto ("Alla ricerca del tempo perduto" è l'opera proustiana). Questo è, a mio parere, uno dei passi più belli della letteratura. La mia madeleine? L'odore e la consistenza delle pagine dei libri appena comprati. Accanita lettrice fin da piccola, un libro era tra i regali più belli che potessero farmi: leggevo, leggevo e leggevo dappertutto, addirittura mentre camminavo per strada (sotto la costante supervisione di mia madre che temeva per la mia incolumità, e forse anche per la mia sanità mentale) o al bagno. Oggi quell'odore rievoca in me molti episodi della mia infanzia. Quando, per esempio, la sera mi infilavo sotto le coperte del lettone con la mamma, io che leggevo ad alta voce anche per lei. Le pagine ruvide erano le mie preferite, mentre non sopportavo quelle lisce che, se toccate con le unghie per sbaglio, producevano uno stridio simile a quello prodotto dal gesso sulla lavagna; e così è ancora oggi. Poi, assonnata, chiamavo "Babbo" e lui, paziente, arrivava, mi faceva salire sulla sua schiena, portandomi nella mia stanza, e, dopo avermi rincalzato le coperte, augurandomi la buonanotte.
Oggi vi offro la ricetta delle famose madeleines proustiane, leggere come nuvole e profumate di vaniglia. Un unico avvertimento: non commettete la stessa aberrazione di Proust, lasciando spappolare senza ritegno queste delizie nella tazza di tè.


Madeleines


Ingredienti


100 g zucchero semolato

125 g farina 00
65 g burro

2 uova

1 bustina di vanillina

25 g latte

4 g lievito vanigliato per dolci

zucchero a velo


Procedimento


Servendosi di una frusta a mano, sbattere le uova con lo zucchero in una terrina. Aggiungere poi, in 2/3 volte, la farina setacciata con il lievito. Quindi unire anche il latte, la vanillina e il burro tiepido, appena fuso. Mescolare bene e porre l'impasto a riposare per 30 minuti. Trascorso questo tempo, versarlo negli appositi stampi da madeleines e infornare per 10-12 minuti in forno preriscaldato a 200°. Quando sono fredde, spolverare di zucchero a velo e servire accompagnate da del tè (la gobbetta non vi deluderà, promesso!)

giovedì 26 febbraio 2009

Chi non mangia in compagnia o è un ladro, o è una spia (però a volte capita anche alle persone perbene)


Solitamente, quando ci si ritrova, per un motivo o per un altro, a pranzare/cenare da soli, si tende a consumare pasti veloci, spesso e volentieri consumati in piedi, appoggiati al mobile della cucina, masticando con foga un panino al prosciutto che, - per carità! - buono quanto vi pare, ma niente ha a che vedere con qualcosa di caldo e cucinato. A mio avviso invece, dovremmo imparare a coccolarci di più. Mangiare da soli è innanzitutto un modo per mangiare ciò che più ci piace, anche coinvolgendo accostamenti culinari che non trovano il riscontro di tutti, ma che hanno la nostra approvazione (una mia compagna di scuola elementare, per esempio, amava mangiare le patatine fritte incastonate nella mozzarella della pizza; beh, contenta lei...) Poi è un modo per pensare, un attimo, alle nostre cose. Oppure è un modo per chi che come me non ha la televisione in cucina, di sgattaiolare in salotto, di apparecchiarsi sul tavolino di cristallo e di guardare la televisione con tutti i programmi/telefilm che essa ci propone e che non ammetteremmo mai di guardare (della serie: "Beautiful, IO? Naaaah!" ... ehm...) Insomma, se vi trovate da soli a casa a mangiare, cucinatevi qualcosa, non optate per il panino o per l'insalatina fast dell'ultimo minuto <-- consiglio spassionato del venerdì mattina. È per questo motivo che ieri, sprovvista di genitori perché al lavoro, mi sono fatta degli gnocchetti di ricotta (che oltretutto stanno dilagando nei vari foodblogs): veloci e, a mio parere, davvero buoni, morbidi e sodi. Altro che tonno&fagioli!


Gnocchetti di ricotta


Ingredienti (per 2 persone, considerandolo come piatto unico)

per gli gnocchi:

250 g ricotta di pecora
2 uova piccole
120 g parmigiano grattugiato (si può anche sostituire parte del parmigiano con del pecorino)
130 g farina
sale
pepe
grattatina di noce moscata

per il condimento:

burro

salvia
semi di papavero
parmigiano reggiano grattugiato

Procedimento

per gli gnocchi: Scolare la ricotta, porla in una terrina ed amalgamarla al parmigiano, schiacciandola con una forchetta. Quindi unire gli altri ingredienti, prima mescolando con una forchetta, poi appoggiando il composto sulla spianatoia ben infarinata e impastando con le mani. Impastare finché non raggiunge una consistenza liscia e soda, senza appiccicarsi più alle dita. Se necessario, aggiungere ulteriore farina fino a raggiungere la consistenza ottimale. Formare dei bastoncini dello spessore di un dito. Passare la lama di un coltello affilato nella farina e tagliare degli gnocchetti di 2 cm circa di lunghezza. Disporre su un vassoio infarinandoli abbondantemente. Se si ha tempo, lasciarli riposare per 30 minuti, altrimenti passare subito alla cottura.

per il condimento: Far scaldare una padella antiaderente. Gettarvi due cucchiai di semi di papavero e farli tostare appena. Quindi, aggiungere il burro, farlo sciogliere un pochino, e poi unire anche alcune foglioline di salvia. Consiglio di utilizzare salvia fresca: le erbe aromatiche sono belle anche da tenere in un vaso nel terrazzo, e il gusto - e la salute - ci guadagnano!
Quindi far sciogliere del tutto il burro.

Gettare gli gnocchi in una pentola di acqua bollente salata e prelevarli con una schiumarola non appena vengono a galla. Quindi, farli saltare nella padella del condimento aggiungendo una grattatina di parmigiano grattugiato e poca acqua di cottura, in modo che gli gnocchi si amalgamino bene al condimento e il formaggio si sciolga. Porre nei piatti da portata e servire. Gustare caldi.

Piesse: L'articolo determinativo da usare davanti alla parola "gnocco" è "lo", non "il"! Il gnocco si usa per indicare una specialità tipicamente emiliana, il gnocco fritto. Tuttavia, la lingua italiana vuole che si dica "lo gnocco" e "gli gnocchi", non "i gnocchi" come si trova scritto sovente, o come alcuni erroneamente dicono. Perlomeno dizionario e vocabolario affermano così :)

mercoledì 25 febbraio 2009

Verde speranza



In questo periodo di oramai risaputa crisi (a mio parere non solo economica, ma anche culturale, sociale, morale, totale insomma), mentre i governi si danno da fare per cercare di placare il malcontento popolare inducendo la massa a convincersi che "l'ottimismo è il profumo della vita!" (e vai di Tonino Guerra!), ognuno, nel suo piccolo, cerca di darsi da fare per salvaguardare il portafoglio. Spopolano anche sul web i consigli su come risparmiare senza fare troppe rinunce e su come risparmiare facendone molte. In particolare però, sono rimasta colpita da uno di questi rimedi anti-crisi: lo swap. Se qualcuno vi chiederà mai "Swappiamo?", ecco, non prendetelo a sberle, ma traducete la proposta così, piuttosto: "Ti va di scambiare i tuoi vestiti con quelli di qualcun altro?" Non fraintendetemi, in pratica funziona così: se si hanno abiti e/o accessori ben tenuti di cui però ci vogliamo disfare, si possono presentare ad una specie di giuria che li valuta, assegnandogli un numero di stelline proporzionale al loro valore. A questo punto si presentano i capi/gli oggetti e si valutano le proposte più interessanti e convenienti (sicuramente sarà meglio scambiare una borsetta da cinque stelline con un paio di scarpe di ugual valore, piuttosto che con una sciarpa da tre), quindi si dà via allo scambio. Lo swap può essere fatto via web, oppure ci si può rivolgere a uno dei numerosi swap party che vengono via via organizzati nelle più importanti città italiane (ne è previsto uno a Roma per l'8 marzo). Oltre che utile, sembra anche divertente. Dà l'opportunità di non spendere in negozio riuscendo a trovare quello che si desiderava e, nello stesso tempo, di conoscere persone nuove :) Un altro suggerimento, stavolta frutto di mia personale riflessione, è quello di ridurre le cene/i pranzi al ristorante o in pizzeria. Cerchiamo di organizzare gli incontri mangerecci con gli amici a casa: ci guadagnano il portafoglio, il palato e la salute! E volete mettere di stare tranquillamente a parlare senza quel continuo cicaleccio di sottofondo? Proprio durante una di queste occasioni poi, potrete proporre il cake di cui sto per darvi la ricetta. Scenografico e delizioso quanto basta. E verde, perché la speranza che vengano tempi migliori è l'ultima a morire.

Cake limone, pistacchi e semi di papavero

Ingredienti

175 g zucchero di canna
75 g burro
2 uova
175 g farina 00
scorza grattugiata di un limone
6 cucchiai di latte
3 cucchiai di semi di papavero
3 cucchiai di granella di pistacchi
1 cucchiaino di lievito per dolci

per glassare:

125 g zucchero a velo
succo di mezzo limone

per decorare:

fettine sottili di limone
zucchero a velo

Procedimento

Lavorare con le fruste elettriche il burro ammorbidito e lo zucchero; continuando a montare, incorporare le uova uno alla volta. Aggiungere la scorza di limone grattugiata, la farina, il latte e il lievito, quindi mescolare. Infine, unire anche i pistacchi e i semi di papavero, amalgamandoli al composto. Imburrare ed infarinare uno stampo da plum-cake; versarvi il composto ed infornare per 35 minuti ca. in forno preriscaldato a 180°.

Ricoprire una teglia con della carta da forno, spolverarla di zucchero a velo e adagiarvi le fettine sottili di limone. Quindi, infornare a 100° per un'ora.

Quando il dolce, da sfornato, sarà tiepido, preparare la glassa, lavorando lo zucchero a velo con il succo di limone, servendosi di una frusta a mano.
Versare la glassa sul cake e, prima che questa si raffreddi e si indurisca, decorare con le fettine di limone candito preparate precedentemente e con ulteriore granella di pistacchi.

Un'altra - ottima - variante del dolce si può ottenere sostituendo al limone l'arancia, e ai pistacchi la granella di nocciole.
Le fettine di limone candito, invece, possono essere utilizzate anche per decorare altri tipi di dolce.

The American Dream


Quante volte vi sarà capitato di guardare un film o un telefilm e di vedere i protagonisti alle prese con delle vere e proprie prelibatezze culinarie, che avreste sicuramente voluto assaggiare? Ecco, questo è più o meno il mio rapporto con i bagels (e con le ciambelle glassate di Homer J. Simpson, ma questa è un'altra storia). Da "Sex and the City" a "The O.C." a "The Departed" (anche se in quel caso il bagel assume una tonalità macabra), queste simpatiche ciambelle rotonde appaiono continuamente. Ogni volta che comparivano sullo schermo mi chiedevo cosa fossero, ma soprattutto come fossero, visto che venivano mangiati con gusto anche da Sarah Jessica Parker. Potrete quindi immaginare la mia gioia nel leggerne la ricetta su Internet, ricetta che è stata immediatamente realizzata. Li eleggerei, insieme ai panciuti muffins di Starbucks, a simbolo culinario dell'America, anche se la storia vuole che siano nati in Europa intorno al Seicento a Vienna o a Cracovia - due sono le scuole di pensiero - e che siano stati esportati in America dagli emigranti ebrei intorno al 1800. Perfetti per colazione con burro e marmellata, sono l'ideale anche per un brunch: nella versione classica, farciti con salmone affumicato, formaggio quark (come del Philadelphia), erba cipollina o aneto; oppure, come verranno consumati da me stasera, farciti con hamburger cotto alla piastra e ketchup. Altro che Mc Donald's!
I'm lovin' it.


Bagels

Ingredienti

250 g farina 00
150 g farina Manitoba
225 ml latte
50 g burro
30 g zucchero
15 g lievito di birra fresco
1 uovo
un pizzico di sale
semi di sesamo o di papavero

Procedimento

Portare a bollore il latte, versarlo in una terrina e farvi sciogliere il burro e lo zucchero. Quando il tutto si sarà intiepidito, sbriciolarvi il lievito di birra e lasciare riposare per 5 minuti circa. Vedrete che, trascorso questo tempo, si sarà formata una schiumettina in superficie. Quindi, separare il tuorlo dall'albume ed aggiungere al composto il solo albume, mescolando bene con un cucchiaio. A questo punto, aggiungere i due tipi di farina, e continuare a mescolare finché il composto sarà troppo denso per poter continuare. Trasferirlo dunque sulla spianatoia e cominciare ad impastare per almeno 15-20 minuti: lavorare energicamente la pasta, sbattendola anche sul tavolo, fino ad ottenere una palla liscia e soda, che non si appiccichi alle dita. Porla in una terrina e lasciarla lievitare dentro al forno chiuso per 1 ora. Quando, dopo questo tempo, sarà raddoppiata di volume, formare una decina di sferette lisce tirando la pasta da sopra verso il fondo e fermandola con un "pizzicotto": posizionare le palline su una teglia rivestita da carta da forno, facendo bene attenzione a mettere la parte più "brutta" di sotto, cosicché non si possa vedere. Infarinare il proprio dito indice e praticare dei buchi nelle sferette abbastanza larghi (circa 1 cm e mezzo). Coprire con un panno e lasciar lievitare per altri dieci minuti. Portare ad ebollizione una pentola d'acqua e immergervi i bagels per una quindicina di secondi ciascuno, in modo da lessarli. Disporre nuovamente sulla placca da forno. Quindi, sbattere il tuorlo rimasto con un po' d'acqua e spennellare le ciambelline, poi cospargere di semi di sesamo o di papavero, a scelta. Infornare per 20 minuti in forno preriscaldato a 200°.
Se si vuole consumarli il giorno dopo, porre i bagels in un sacchettino di plastica. Se invece si vuole conservarli, tagliarli a metà, porli nei sacchettini e poi in congelatore: al momento del consumo basterà dargli una scaldatina, dopo averli fatti scongelare.

martedì 24 febbraio 2009

Compagni di Merende (e di studio)



Posso dire con una certa soddisfazione e con un certo sollievo che oggi si è conclusa la prima sessione di esami del primo semestre, almeno per quanto mi riguarda. Almeno fino al 9 marzo mi aspettano giorni di meritato relax, con relativo tempo da dedicare al blog annesso. Fino ad ora le mie giornate sono trascorse, o meglio si sono trascinate, o ancora sono state consumate perennemente immersa nei libri. La sveglia presto la mattina, quel senso del dovere che mi spingeva a chinare la testa su quelle dense pagine fino all'ora di pranzo, a orario continuato come un serio lavoratore stachanovista. L'unico lusso che mi concedevo - anche per forze di causa maggiore, quali lo stomaco brontolante e dei fastidiosi luccichini agli occhi - era la Pausa di Metà Mattina. Attesa e sospirata, non deludeva mai. Per prima cosa afferravo due belle arance e mi facevo una spremuta (e ricordate, deve essere consumata subito, altrimenti perde le sue proprietà! Inutile e neanche tanto premuroso lo sforzo di quelle madri che la preparano la sera prima ai figli "per colazione, perché fa bene"). Poi facevo scivolare furtiva la mano verso il sacchettino sul mobile della cucina. E poi beh, poi estraevo Lei. La Ciaccina con l'Uva. Bassa, morbida, ricca di uvette - e pensare che da piccola le detestavo, le uvette! Un sorso di spremuta e un morso alla ciaccina e la pausa era già finita, ma almeno quei cinque minuti erano stati estremamente piacevoli. A quel punto potevo ritornare al mio daffare, sperando che tutto finisse presto. È arrivato quel momento, stappiamo lo champagne e brindiamo. Ma prima la ricetta, come darvi torto?

Ciaccina con l'uva

Ingredienti (per una teglia rotonda del diametro di 32 cm)

40 ml latte + 80 g acqua
12 g lievito di birra fresco
250 g uvetta sultanina
500 g acqua
farina q.b.

Procedimento

Per prima cosa, mettere a bollire i 500 g di acqua. Quando questa avrà raggiunto l'ebollizione, farvi rinvenire l'uvetta sultanina per almeno 3-4 minuti; trascorso questo tempo, tirare fuori l'uvetta e assorbirne l'acqua con della carta scottex. Mescolare i 40 ml di latte e gli 80 g di acqua, fare intiepidire l'emulsione ottenuta, quindi sciogliervi bene il lievito di birra. Mettere un pugno di farina in una terrina, ed aggiungere a poco a poco l'emulsione, girando il composto con una forchetta. A questo punto, aggiungere ancora farina, quanto basta affinché il liquido la assorbisca tutta, e il composto diventi più sodo e difficile da lavorare con la forchetta (circa 200 g, ma dipende dalla capacità di assorbimento!) Quindi, mettere un pugno di farina sulla spianatoia e adagiarvi il composto; lavorarlo per almeno 10 minuti, fino ad ottenere una palla liscia ed elastica (se occorre, aggiungere ulteriore farina). Aprire la palla con le dita e gettarvi le uvette insieme ad un pugno di farina, poi lavorare il composto per poco, fino a quando le uvette non saranno ben amalgamate e distribuite in modo omogeneo.
Su un foglio di carta da forno delle dimensioni della teglia, stendere la pasta servendosi del mattarello, poi porla sulla teglia stessa e lasciarla lievitare in luogo tiepido per almeno 2 ore e mezzo (io metto sempre tutto a lievitare dentro il forno, senza utilizzare cellophane o panni di sorta). Trascorso questo tempo, infornare in forno (ventilato o statico, è lo stesso) preriscaldato a 225° per 10 minuti da un lato e 4 dall'altro. Sfornare e lasciare intiepidire.
Quindi, tagliare delle piccole losanghe. Quando si sarà freddata, porla in un sacchettino di plastica (perfetti quelli per il congelatore): in questo si potrà conservare per giorni, mantenendosi morbida.

A questo punto è a vostro uso e discrezione. È ottima con il tè delle cinque (anche zuppata), con la spremuta, appunto, oppure accompagnata da noci (si crea una sorta di Pan co' Santi fac-simile alquanto gradevole).
Attenzione, crea dipendenza.

Piesse: buon ultimo di Carnevale a tutti! Personalmente, non è tra le mie feste preferite, e gli stessi dolci carnevaleschi non mi fanno proprio impazzire, ecco perché vi propongo questo cavallo di battaglia tramandato da madre a figlia :)

lunedì 23 febbraio 2009

Ab ovo - Torta di ricotta




C'era una volta,

una ragazzina di 17 anni e mezzo che non sapeva neppure cucinarsi un uovo al tegamino. La cucina non era mai stata tra le sue priorità: era felicemente appagata dalle prelibatezze che la madre le preparava con tanta cura, come aveva sempre fatto, fin da quando era piccola; quando era sola in casa, invece, preferiva aprirsi una scatoletta di tonno e una di fagioli (talvolta perfino la linguetta le rimaneva in mano, senza che la scatoletta si fosse degnata di mostrare il prezioso contenuto), piuttosto che preparare una semplice fettina al limone. Quando la madre cercava di approcciarla al fantastico mondo della cucina, lei si ritraeva scontrosa. Capricciosa come era (com'è?), non voleva fare qualcosa che gli altri la istigassero a fare, non voleva proprio imparare ad utilizzare mezzelune e padelle.
Poi un giorno, verso novembre, mentre vagava nella rete virtuale senza una meta ben precisa, si imbatté per caso in un blog di cucina, "il cavoletto di bruxelles". Rimase ammaliata da quelle fotografie variopinte, da quei cibi succulenti che ti facevano venire voglia di addentare lo schermo (nonostante ciò avrebbe comportato una visita dentistica immediata), da quelle ricette semplici, ma allo stesso tempo complesse, che offrivano gusti nuovi, ai quali lei non era abituata. La ragazzina scoprì che di blog di cucina il web era pieno. Si affezionò a molti di questi: ogni giorno, quando tornava da scuola, dedicava almeno mezz'ora del suo tempo a leggere i nuovi post di queste Moroni virtuali.
E ci fu la magia. Una domenica mattina, la ragazzina decise di provarci, perchénno?, a preparare qualcosa con le sue mani da portare in tavola dopo pranzo. Dopo letture accurate, scelse infine qualcosa di facile per cominciare a capire come funzionasse il "meccanismo culinario". I suoi miopi occhi si soffermarono su una torta del cavoletto, una torta di ricotta. Mai sua madre l'aveva proposta. La ragazzina la preparò con impegno: sebbene avesse acceso il forno mezz'ora prima del dovuto, sebbene non fosse ancora tanto abile nel rompere le uova, il risultato fu quello di una torta buona. Ehssì, buona. E leggera. Soffici e gustosi, piccoli bocconi della Torta scesero lungo le gole dei tre membri della famiglia trovando il loro apprezzamento. La ragazzina fu incentivata a continuare, lei si sentiva come se avesse fatto qualcosa di grande, e forse era proprio così.
Cominciò quindi a preparare dolci su dolci, andando ad affinare tecniche e conoscenze. I suoi insegnanti erano esclusivamente i blog di cucina che leggeva ogni giorno, che le insegnarono i dolci più disparati e poi, infine, l'approccio col salato. La ragazzina aveva fatto del mestolo la sua nuova filosofia, "bontà e leggerezza" il suo motto quotidiano. La ragazzina aveva imparato a cucinare.

Adesso ha 19 anni appena compiuti, e trova meraviglioso dedicarsi al fantastico mondo della cucina, dalle mille sfaccettature e dalle mille soddisfazioni. Adesso, quando è sola, si mangia orecchiette alle cime di rapa, ma le orecchiette se le fa da sola. Poiché la ragazzina in questione sono io, posso anche continuare a parlare utilizzando la prima persona. L'idea di aprire un blog di cucina tutto mio mi balenava già da un po' per la testa, ma non riuscivo mai a trovare la forza/il coraggio per farlo. Forse perché so di non poter postare le ricette con assidua frequenza, a causa dell'università, dello studio, del fatto che non ho il computer quando sono "in trasferta". Forse perché non mi sento all'altezza delle vostre fotografie, delle vostre elaborate ricette. Forse perché basta solo trovare l'impegno per cominciare, e poi il percorso è più in discesa. Comunque sia, voglio provarci, e la prima ricetta che vi offro è proprio la famigerata torta di ricotta con cui è cominciato tutto, una torta che sta bene dopo un pranzo informale, per colazione o per una merenda in ugual modo. Profuma di limone, è soffice e leggera e funziona sempre.
Un'ultima cosa, però, aspettate, devo ancora dar sfogo alla mia vena logorroica. Vorrei ringraziare un po' di persone. Mia madre, che ha sempre cucinato per me, mettendoci tutto l'amore di cui era capace, e non affidando lo stomaco di sua figlia ai "4 salti in padella" Findus, e da cui ho appreso trucchetti utili tra i fornelli. Mio padre, che mangia con gusto anche le cose che sono venute un po' meno bene. La mia migliore amica, che mi ha fatto e che continua a farmi da cavia, ultimamente credo anche con piacere. E, last but non least, voi che siete dietro i più bei blog di cucina della rete: Sigrid, a cui devo l'approccio a questo mondo; Paoletta, a cui devo l'approccio ai lievitati; fiordisale, fiordizucca e tutti gli altri esperti fiori; Tuki, Tulip, tu-; Pinella, a cui devo l'amore per i bicchierini colmi delle mousse più disparate; Adrenalina, che con la sua ricetta della piadina senza strutto ha risolto il problema di molte cene veloci, ma appaganti; le Cuoche dell'altro mondo, che provengono veramente d aun Altro Mondo, fatto di ricette e fotografie stupende; Viviana, che con le sue storie di Gp e le sue fotografie fa sempre sorridere; i Cuochi di carta, il Moscerino, chi Spilucca qua e là, Sandra e Chiara alias Babette; Sweetcook , che è puntualmente il primo blog che vado a vedere nell'arco della giornata (non so perché, ma è sempre così).Sicuramente ho tralasciato molti altri bloggers, miei guru di cucina, e mi dispiace per questo. Sappiate che vi seguo, vi leggo, vi ammiro ed imparo da voi. Ringrazio anche chi non ho citato, ma che è comunque tra i miei preferiti ;)

Enjoy yourselves!

Ingredienti

300 g ricotta di pecora fresca
300 g zucchero
300 g farina
3 uova
1 scorza di limone grattugiata
mezza bustina di lievito per dolci

Procedimento

Servendosi dell fruste elettriche, lavorare a crema la ricotta con lo zucchero, fino ad ottenere una crema soffice; aggiungervi la scorza di limone grattugiata e i tuorli d'uovo. Montare gli albumi e, dopo che sono stati incorporati, aggiungere lentamente la farina setacciata con il lievito. Versare l'impasto ottenuto in uno stampo per torte del diametro di 25 cm ca. Far cuocere in forno preriscaldato a 180° per 35-40 minuti circa, finché la superficie non è dorata (si può anche verificare la completa cottura con la famigerata "prova stecchino", infilzandovi uno stecchino e assicurandosi che esca asciutto).